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mercoledì 21 dicembre 2016

20 miliardi dal governo per salvare Mps (e non solo)

di CARLO DI FOGGIA - Nuovo regalo ai parassiti che hanno fatto il loro nido nel mondo della finanza. Chi pagherà? Ciò che resta del nostro welfare:dalla sanità all’assistenza, dalla formazione alla ricreazione, dalle bellezza all’utilità delle nostre città. Il Fatto quotidiano, 20 dicembre 2016 Mesi passati a smentirlo, pochi minuti per approvarlo e presentarlo alla stampa alle nove di sera con una conferenza lampo convocata senza nessun preavviso: il governo approva così la bozza di intervento per soccorrere il sistema bancario. Il Consiglio dei ministri metterà sul piatto 20 miliardi che serviranno allo Stato per ricapitalizzare diversi istituti di credito in difficoltà: in testa Monte dei Paschi di Siena, ma anche le due popolari venete (Vicenza e Veneto Banca), Carige e le 4 banchette nate dalle ceneri di Etruria, Marche, Carife e Carichieti. Che la situazione sia seria lo conferma la modalità “notturna” dell’annuncio e le facce funeree che il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan mettono su in sala stampa. Anche il nome (“Operazione salva risparmio”) dà l’idea della portata: puntellare diverse banche per evitare una crisi sistemica dopo gli interventi disastrosi fatti negli ultimi due anni.
Le misure vere finiranno in un decreto già scritto da tempo e limato negli ultimi giorni. “Le modalità saranno da definire”, spiega Padoan, ma a grandi linee l’ennesimo “salva banche” è chiaro. Matteo Renzi se l’è tenuto nel cassetto per settimane, ritardando fino a dopo il referendum la resa dei conti. D’altronde ammettere che la carta bianca data a Jp Morgan sul futuro di Monte dei Paschi si sta rivelando una fregatura non era un bel biglietto per presentarsi agli elettori. Il decreto conterrà anche garanzie pubbliche per la liquidità del settore. Il governo Renzi aveva ottenuto a luglio scorso una deroga dall’Ue per garantire le emissioni obbligazionarie delle banche “solvibili” ma con difficoltà a rifinanziarsi: un problema che all’epoca non esisteva e invece oggi sì, proprio a causa del mancato intervento del premier, consapevole da mesi di dover intervenire. Il decreto farà salire il debito nel 2017 e proprio perché modificherà i saldi di finanza pubblica dovrà essere approvato attraverso il percorso previsto dall’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio: il governo dovrà prima ottenere dal Parlamento – a maggioranza assoluta – il permesso di peggiorare i saldi. Ieri il Cdm ha autorizzato proprio questa richiesta da fare alle Camere, in un voto forse già mercoledì. La fretta è per i guai di Mps.
La prima indiziata è infatti proprio la banca senese, alle prese con un aumento di capitale da 5 miliardi che Renzi – in forza del 4 per cento detenuto dal Tesoro – ha affidato alla banca dell’amico Jamie Dimon (con commissioni stellari). Gli investitori sono rimasti freddi: terminerà giovedì, mercoledì invece si chiude l’offerta di conversione volontaria delle obbligazioni subordinate in azioni riaperta la scorsa settimana. La banca, con l’avallo della Consob (che in due settimane si è smentita) punta a convincere i 40 mila piccoli risparmiatori che hanno in tasca bond per 2,16 miliardi. Ma non basta. E il governo è pronto a un “intervento precauzionale” partecipando all’aumento di capitale. “Anche sottoscrivendo azioni di nuova emissione”, spiega Padoan.
Problema: dal 2013 l’Ue vieta agli Stati di risolvere le crisi bancarie senza prima accollare una parte dei costi ai creditori degli istituti: è il cosiddetto burden sharing. Se lo Stato ci mette i soldi, almeno gli obbligazionisti subordinati devono contribuire, possibilmente con una conversione forzata dei bond in azioni. A rimetterci sono anche gli azionisti. Se il governo interverrà, una parte (o tutta) dei 4,3 miliardi di obbligazioni di Mps seguiranno questa strada. L’accordo con l’Antitrust Ue, guidato dalla Commissaria Margrethe Vestager, prevede che poi lo Stato possa risarcire i piccoli risparmiatori (forse all’80%). Questo intervento è “precauzionale”, perché non riguarda banche non in dissesto. Altrimenti si applicherebbe il “bail-in” previsto da una direttiva del 2014: il conto del dissesto viene scaricato sugli azionisti, poi sugli obbligazionisti e se necessario perfino sui depositanti sopra la soglia dei 100.000 euro garantiti. È l’approccio che il governo ha applicato a novembre 2015 per Etruria scatenando il panico.
Il Tesoro non userà subito i 20 miliardi. Prima di natale o capodanno farà un decreto con le misure più urgenti per il settore: la sospensione dell’obbligo di trasformazione in spa (forse per sei mesi) delle popolari, resa necessaria visto che il Consiglio di Stato ha stroncato la riforma e chiamato in causa la Consulta; un’ulteriore rata che sarà chiesta a tutte le banche italiane per ripulire Etruria & C. e permetterne la vendita (il conto è ormai di oltre 4 miliardi) e ulteriori sgravi fiscali.
Il governo aveva pensato di fare un decreto unico, ma l’entità della cifra l’ha obbligato a passare dalle Camere. A Mps servono 5 miliardi, per le venete si parla di 3, tra i 500 milioni e 1 miliardo per Carige e un altro (pare) per CariCesena e CaRim. Tutto questo perché il fondo salva banche Atlante, partecipato dal settore ma anche dalla pubblica Cdp, messo in piedi in fretta e furia a marzo scorso ha finito i soldi.

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La favola dell’attacco hacker russo si rivela una totale bufala mediatica

Ed ecco che la gigantesca bufala della delirante teoria del complotto della sinistra ha cominciato a sgretolarsi. Dopo aver assistito per giorni a continue dichiarazioni da parte dei media di sinistra a proposito delle email dei democratici hackerate dai “russi” e consegnate a Wikileaks, risulta che le email in realtà sono state fatte trapelare da una persona interna al partito democratico in collera per l’eliminazione orchestrata di Bernie Sanders da parte degli agenti dei Clinton.
Il UK Daily Mail riporta ora che Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, ha incontrato personalmente il leaker (informatore) che gli ha fornito le email poi pubblicate da Wikileaks. Il leaker di email, una persona della cerchia di Bernie Sanders, sarebbe stato spinto dal “disgusto di fronte alla corruzione della Fondazione Clinton e al ribaltamento delle elezioni primarie contro Bernie Sanders,” scrive il Daily Mail.
Il passaggio di informazioni è avvenuto a Washington D.C. in un’area boschiva presso la American University, ha spiegato Murray. Scrive il Daily Mail:
Murray ha insistito nel dire che le email di Podesta e del partito democratico pubblicate da Wikileaks non provenivano dai russi e sono state consegnate al gruppo di whistleblowing da cittadini americani che avevano accesso autorizzato alle informazioni.
“Nessuno [dei leak] proveniva dai russi,” ha detto Murray “La fonte aveva legale accesso alle informazioni. I documenti provenivano da leak interni, non da hackeraggi esterni.”
“Come ha chiarito Assange in modo inequivocabile, i leak non provengono dai russi,” scrive Murray sul suo sito web. “Come ho già spiegato innumerevoli volte, non si tratta di hackeraggi bensì di leak interni – c’è una notevole differenza fra le due cose. E dovrebbe essere ancora ribadito che se Hillary Clinton non avesse cospirato con il comitato nazionale dei democratici per stabilire il programma delle primarie in modo da sfavorire Bernie, se non avesse ricevuto anticipazioni sulle domande del dibattito da usare contro Bernie, se non avesse accettato cospicue donazioni alla fondazione Clinton e ai membri della sua famiglia in cambio di influenza sulla politica estera, se non avesse fallito nel tentativo di allontanare da se certi soggetti poco raccomandabili, allora non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò. La continua abilità dei media mainstream nel sostenere che i leak sono costati le elezioni alla Clinton per colpa della “Russia” senza mai accertare le verità che essi rivelano, è veramente kafkiana.”
Il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha già confermato in precedenza che le email in questione non provenivano dai russi. Il Washington Post, il New York Times ed altri ormai screditati portavoce della propaganda di regime continuano ad insinuare che i russi hanno in qualche modo alterato l’esito delle elezioni in favore di Donald Trump, ma non hanno prodotto uno straccio di prova reale a sostegno delle loro affermazioni.
L’obiettivo è creare il dubbio nelle menti dei “grandi elettori”
Nonostante la completa mancanza di prove, la totalità dei media di sinistra (spacciatori di propaganda) negli Stati Uniti ha ormai abbandonato qualunque parvenza di integrità giornalistica continuando a trasmettere la narrazione manifestamente falsa secondo la quale i russi avrebbero hackerato e divulgato le email del partito democratico a Wikileaks.
La delirante teoria della cospirazione è stata spinta attraverso una campagna mediatica coordinata con l’obiettivo di diffondere sufficiente disinformazione da causare un cambiamento del voto elettorale del 19 dicembre. Lo scopo è negare a Donald Trump 270 voti elettorali e per ottenere questo gli stessi media di sinistra che hanno mentito incessantemente su tutto durante la campagna continuano a mentire dopo la vittoria di Trump.
Se a Donald Trump posso essere negati 270 voti elettorali, la narrazione della sinistra dichiarerà “illegittima” la sua presidenza in quanto avrebbe fallito nel raggiungere i richiesti 270. Tutto questo è ridicolo, ovviamente, poiché la stessa disinformazione mediatica sarebbe la causa di un eventuale stravolgimento del voto elettorale. In questo modo, la propaganda si autoalimenta… e i grandi elettori saranno oggetto della più intensa psyop politica mai osservata nelle elezioni americane.
Le email rivelano sconvolgenti abissi di corruzione e collusione all’interno del partito democratico (DNC) e della campagna di Hillary
Focalizzando l’attenzione sui russi, i media mainstream sono riusciti a distrarre completamente quasi tutti dalla sostanza delle email trapelate. Esse contengono schiaccianti dettagli sull’estrema corruzione e collusione all’intero del DNC, che ha tramato attivamente per utilizzare Bernie Sanders come fantoccio politico per poi “colpirlo alle spalle” nel momento più opportuno in modo da aprire la strada a Hillary Clinton.
Breitbart.com ha pubblicato una lista di 18 fra le più sconvolgenti rivelazioni emerse dalle email. Ma ce ne sono centinaia.
Quando Wikileaks ha cominciato a pubblicare le email, una delle storie create inizialmente dai media di sinistra allineati era dichiarare le email “false.” Così, ora sostengono fondamentalmente che i russi hanno alterato l’esito delle elezioni hackerando in qualche modo il DNC per acquisire false email pubblicate da Wikileaks. Non ha alcun senso, naturalmente, ma le narrazioni della sinistra non hanno bisogno di avere senso. Devono solamente sembrare emotivamente cariche e scandalose. (I liberali non pensano usando la logica. Prendono decisioni basate su emozioni e conformità sociale. Ecco perché non ci si può ragionare.)
WashPost, NYT e CNN hanno costruito una grande bufala per cercare di scippare le elezioni dopo averle perse
Le rivelazioni di Craig Murray mostrano che la teoria delirante di un “attacco informatico russo” non è che una gigantesca bufala portata avanti da Washington Post, New York Times e CNN. Niente di ciò che hanno dichiarato è vero. Tutto ciò che scrivono sull’argomento è una costruzione o una eco di qualche fonte che sta fabbricando simili assurdità.
Dal Daily Mail:
Murray ha affermato che ha deciso di parlare dopo le dichiarazioni dei funzionari dei servizi segreti secondo cui hacker russi avrebbero fornito i documenti a Wikileaks come parte di uno sforzo per aiutare Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali americane.
‘Non capisco perché la CIA sostenga che le informazioni provengono da hacker russi quando dovrebbero sapere che non è vero,’ ha detto. ‘A prescindere da eventuali hackeraggi russi nel DNC, i documenti pubblicati da Wikileaks non provengono da lì.’’
Mike Adams
Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Nel paese del lavoro a scontrino continua il boom dei voucher

di ROBERTO CICCARELLI - «Nel 2016 sono cresciuti i licenziamenti per giustificato motivo e quelli per giusta causa. Assistenzialismo statale alle imprese e precariato: questi gli effetti del renzismo sul mercato del lavoro». Il manifesto, 20 dicembre 2016 (p.d.)
L’Osservatorio sul precariato dell’Inps conferma il boom dei voucher: tra gennaio e ottobre 2016 sono stati venduti 121,5 milioni «buoni lavoro», valore nominale di 10 euro, destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio. Rispetto ai primi dieci mesi del 2015, quando il nuovo precariato aveva già battuto il record del 2014 (+67,6%), si tratta di un incremento del 32,3%.
La norma sulla tracciabilità dei voucher, da poco attivata, non sembra fermare il boom del lavoro a scontrino che integra e a volte sostituisce il lavoro propriamente detto. Il ministro del lavoro Poletti ieri ha detto di aspettare i risultati a partire «dal prossimo mese. Se i dati ci diranno che anche questo strumento non è sufficiente a riposizionare correttamente i voucher la cosa che faremo è rimetterci le mani».
Il pressing della sinistra Pd sul governo Gentiloni continua, mentre incombe la decisione della Consulta sui referendum della Cgil su voucher, articolo 18 e appalti. «Dietro questi voucher dilaga una forma di precarietà indifendibile che colpisce i più deboli – sostiene Roberto Speranza che si è candidato alla segreteria del Pd – In Parlamento c’è già una buona proposta. Non si può più aspettare». «Occorre tornare allo spirito e alla lettera della legge Biagi – sostiene Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro del Senato – Sull’articolo 18, infine, la situazione è più complessa: sarebbe prioritario concentrarsi sui temi dei licenziamenti disciplinari, di quelli collettivi e del mantenimento dell’articolo 18 nel caso di cambio di appalto».
«Sui voucher questo strumento non ci possono essere interventi correttivi o migliorativi: l’unica soluzione è l’abolizione che dovrebbe fare il Parlamento. In caso contrario si vada al referendum» sostiene Arturo Scotto (Sinistra Italiana). «Poletti dice anche che il jobs act fa bene al Paese e non vede motivi per i quali si debba modificare. Per fortuna li vedono gli italiani e li vedranno anche nelle urne» aggiunge Pippo Civati (Possibile).
Il monitoraggio dell'Inps permette di analizzare altri aspetti decisivi del Jobs Act che il neo-presidente del consiglio Gentiloni «non ha nessunissima intenzione di cambiare sull’articolo 18». Continuano a calare le assunzioni a tempo indeterminato senza articolo 18, il settore sul quale sono stati investiti almeno 11 miliardi di euro in sgravi contributivi triennali alle imprese. Dopo il taglio degli incentivi (da 8.040 a 3.250 euro per neo-assunto) questa tipologia di contratti ha registrato una diminuzione di 492 mila unità, pari a –32% rispetto ai primi dieci mesi del 2015.
Nel 2016 le assunzioni con esonero contributivo biennale sono state 323 mila, le trasformazioni dei rapporti a termine che beneficiano del medesimo incentivo ammontano a 117 mila, per un totale di 440 mila rapporti di lavoro agevolati, il 33,9% delle assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato. Rispetto al 2015, la differenza è enorme: il rapporto era pari al 60,8%. Gli incentivi continueranno fino al 2018. Le imprese del Sud li incasseranno a pieno titolo anche nel 2017.
Crescono i licenziamenti tra chi ha un contratto a tempo indeterminato, in particolare quelli per giustificato motivo oggettivo e quelli per giusta causa: i primi sono passati dai 380.292 dei primi dieci mesi del 2015 ai 399.613 del 2016; i secondi da 47.728 dello scorso anno ai 60.817 di quest’anno. I licenziamenti complessivi sul tempo indeterminato (507 mila) sono in aumento rispetto al 2015 (490 mila) e diminuiscono rispetto a due anni fa (514 mila). L’obbligo alle dimissioni on line abbia inciso su questo andamento.
Aumenta il precariato che resta la forma dominante del mercato del lavoro. Lo si vede dai numeri assoluti. Il totale delle assunzioni a tempo indeterminato, a termine, apprendistato o stagionali avvenute nel settore privato sono state 4 milioni e 833 mila nei primi dieci mesi del 2016. I contratti a tempo determinato sono 3 milioni e 106 mila, in aumento sia sul 2015 (+4,9%), sia sul 2014 (+7,6%). Le assunzioni con un contratto in apprendistato sono aumentate di 38 mila unità (+24,5%).
La ricetta del jobs act è un assistenzialismo statale alle imprese in un’economia senza domanda. Questa è l’eredità che il renzismo ha lasciato al governo senza Renzi: crescita dilagante del precariato dentro e fuori il perimetro del lavoro subordinato e un trasferimento di ingenti risorse pubbliche alle imprese.
Il 75% dei nuovi rapporti di lavoro sono precari. Questo è il calcolo della Fondazione di Vittorio (Cgil), confermato anche dal nuovo report dell’Inps. «Il Jobs Act è una ricetta amara e sbagliata – sostiene Tania Sacchetti (Cgil) – non produce occupazione di qualità, dispensa meno diritto, tutele nel lavoro e lascia piena discrezionalità alle imprese».
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mercoledì 2 novembre 2016

Patti chiari, sudditanza lunga

Manlio Dinucci | ilmanifesto.info - 25/10/2016
L'arte della guerra. Nel quadro della strategia Usa/Nato - documenta la Casa Bianca - l'Italia si distingue quale «saldo e attivo alleato degli Stati uniti». Lo dimostra il fatto che «l'Italia ospita oltre 30 mila militari e funzionari civili del Dipartimento Usa della difesa in installazioni dislocate in tutto il paese»
Dopo aver chiamato gli italiani a votare Sì al referendum, ingerendosi nella nostra politica nazionale col complice silenzio dell'opposizione parlamentare, il presidente Obama ha confermato al «buon amico Matteo» che con l'Italia gli Usa hanno «patti chiari, amicizia lunga». Non c'è dubbio che i patti siano chiari, anzitutto il Patto atlantico che sottomette l'Italia agli Usa. Il comandante supremo alleato in Europa viene sempre nominato dal presidente degli Stati uniti d'America e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave.
Dopo la fine della guerra fredda, in seguito alla disgregazione dell'Urss, Washington affermava la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. Concetto ribadito dal segretario della Nato Stoltenberg nella recente tavola rotonda sulla «grande idea di Europa»: «Dobbiamo assicurare che il rafforzamento della difesa europea non costituisca un duplicato della Nato, non divenga una alternativa alla Nato».
A garanzia di ciò c'è il fatto che 22 dei 28 paesi della Ue (21 su 27 dopo l'uscita della Gran Bretagna) fanno parte della Nato sotto comando Usa, riconosciuta dall'Unione europea quale «fondamento della difesa collettiva». La politica estera e militare della Ue è quindi fondamentalmente subordinata alla strategia statunitense, su cui convergono le potenze europee i cui contrasti d'interesse si ricompattano quando entra in gioco il loro interesse fondamentale: mantenere il predominio dell'Occidente, sempre più vacillante di fronte all'emergere di nuovi soggetti statuali e sociali. Basti pensare che l'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, nata dall'accordo strategico cino-russo, dispone di risorse tali da farne la maggiore area economica integrata del mondo. Nel quadro della strategia Usa/Nato - documenta la Casa Bianca - l'Italia si distingue quale «saldo e attivo alleato degli Stati uniti». Lo dimostra il fatto che «l'Italia ospita oltre 30 mila militari e funzionari civili del Dipartimento Usa della difesa in installazioni dislocate in tutto il paese».
Allo stesso tempo l'Italia è «partner degli Usa per la sicurezza globale», fornendo forze militari e finanziamenti per una vasta gamma di «sfide»: in Kossovo, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Baltico e altrove, ossia ovunque è stata e viene impiegata la macchina da guerra Usa/Nato.
Un ultimo fatto conferma quale sia il rapporto Usa-Italia: stanno per arrivare alla base di Amendola in Puglia, probabilmente l'8 novembre, i primi due dei 90 caccia F-35 della statunitense Lockheed Martin, che l'Italia si è impegnata ad acquistare. Il costo della partecipazione dell'Italia al programma F-35, quale partner di secondo livello, è ufficialemente quantificato nella Legge di stabilità 2016: 12 miliardi 356 milioni di euro di denaro pubblico, più altre spese per le continue modifiche al caccia che ancora non è pienamente operativo e necessiterà di continui ammodernamenti. Nonostante ciò - conferma Analisi Difesa - l'Italia avrà una «sovranità limitata» sugli stessi F-35 della propria aeronautica. Una legge statunitense vieta che i «dati di missione» (i software di gestione dei sistemi di combattimento dei caccia) siano comunicati ad altri. Saranno dunque gli Usa a controllare gli F-35 italiani, predisposti per l'uso delle nuove bombe nucleari B61-12 che il Pentagono schiererà contro la Russia, al posto delle attuali B-61, sul nostro territorio «nazionale»

venerdì 8 aprile 2016




"Armi e denaro degli Stati Uniti sono finiti ai jihadisti radicali in Siria"

 Gregory Copley, editore del sito Defense & Foreign Affairs, ha dichiarato ad RT qual era l'obiettivo delle forniture degli Stati Uniti in Siria e qual è stato il ruolo della Turchia in questo conflitto
Analisti di rango dell'intelligence degli Stati Uniti sono stati espulsi per aver svelato il programma del Pentagono, diversi milioni di dollari per la formazione della cosiddetta "opposizione moderata" in Siria alla fine diventano un fallimento, ha dichiarato Gregory Copley, direttore del portale Defense & Foreign Affairs, in un intervista ad RT. Secondo Copley, il Pentagono non sembra aver imparato dai propri errori, perché ha appena iniziato un nuovo programma di formazione presumibilmente dedicata alla lotta contro lo Stato islamico.
Come notato da Copley, si tratta di un programma molto politico, con molti esponenti delle forze armate del paese che non sono d'accordo, in quanto si tratta di lavorare con l'addestramento e l'inserimento di jihadisti che in passato hanno sostenuto Al Qaeda, infine fin iti nell'ISIS.
In questo contesto, l'analista ha sottolineato che "le armi e soldi erano per i jihadisti radicali" in Siria, nel tentativo di creare un'opposizione al presidente Bashar Assad, moderata e laica, e che è completamente fallita.
Per quanto riguarda i rapporti della campagna degli Stati Uniti contro l'ISIS, secondo Copley "non vi è alcun dubbio che la presentazione del successo e l'efficacia di questi gruppi anti-Assad moderati vengono notevolmente esagerati" per far sembrare che la campagna di Obama contro l'ISIS sia un successo. "In realtà, quello che stavano cercando di fare è stato quello di sostenere la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar nella creazione di forze che rovesciassero Assad ed allo stesso tempo affrontassero la questione dell'ISIS", ha spiegato l'analista. Fonte: RT

Cile. 25 Mapuche arrestati dopo aver occupato la nuova base di polizia

Nella mattinata di questo lunedì più di 50 comuneri Mapuche, appartenenti alla comunità Autonoma Huañaco Millao di Ercilla, sono entrati nelle installazioni della nuova base di polizia che si sta sistemando nell’ex liceo di Pailahuenque per manifestare la propria opposizione e dimostrare la militarizzazione che ogni giorno vivono le comunità della zona del Malleco.
Mentre i comuneri manifestavano pacificamente un drappello di più di 50 agenti delle forze speciali è giunto cominciando ad arrestare con estrema violenza la totalità dei manifestanti, tra loro si trovava il fotografo indipendente Camilo Tapia, al quale è stato impedito di lavorare ed è stato riunito ad un gruppo fatto salire sulle auto della polizia.
La creazione di una nuova zona militare recintata nelle vicinanze dei luoghi delle comunità in resistenza del Malleco, dove si continuano ad effettuare lavori produttivi nei straordinari recuperi di terre, ha come obiettivo quello di ampliare e rendere concreta la politica dello Stato di Polizia come forma per mettere violentemente fine alle legittime rivendicazioni territoriali mapuche che si portano avanti nel territorio.
I fermati sono stati trasferiti fino alla città di Victoria dove passeranno il controllo per l’arresto.
28 marzo 2016
Werken Noticias